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[ scarpe e guanti ]
Schapiro - Le sue nature morte sono spesso soggetti personali, piccoli frammenti esterni dell’io presentati con cose meno personali ma sempre significative.[1]
Dur. 10' 18"
Comunque... i guanti non sono scarpe. E tuttavia… 
Ho appena terminato il nuovo quadro, che ha una sua arte quasi elegante, un paniere di vimini con limoni e arance – un ramo di cipresso e un paio di guanti blu.[2] 

Adesso, accanto al paio di scarpe (che non rappresentano niente) abbiamo preso anche un paio di guanti (che non rappresentano niente).
Riusciranno forse insieme a rappresentare infine qualcosa?

Intanto mi auguro che questi guanti non siano stati evocati da Derrida unicamente in quanto il termine pointure avvicina calzolai e guantai - sarebbe un soverchio prendere in parola la parola invece di prenderla sul serio.
E neppure voglio pensare che questi guanti siano entrati nella disputa soltanto per stabilire alcune corrispondenze tra varie morti: la morte di Goldstein (nelle sue proprie scarpe) e quella della natura (morta in guanti blu). 

I guanti blu, uniti come se fossero due mani in una posa di attesa passiva; sono accoppiati in una diagonale simmetrica, con un ramo di cipresso, un albero gesticolante, che era profondamente poetico per Van Gogh… I guanti e i rami si appartengono.[3] 

Vedo un cipresso incaprettato in guanti e scarpe oscillare come per divincolarsi.
Ma la visione non è per niente chiara.

Tra Derrida e Schapiro, chi per primo è andato in cerca di guanti?
E’ possibile che Derrida, in perpetua ricerca delle ragioni del puntiglio di Schapiro, sia andato a perquisire la monografia che l’americano aveva dedicato a van Gogh, e che qui non abbia annusato altro pellame che quello di un paio di guanti blu.[4]
E Derrida ce li fa vedere come a dire dire che Schapiro avrebbe trattato la pittura dell’olandese con i guanti?… Che certo non sono scarpe – ma pur sempre da sistemare con le scarpe in un unico fardello di oggetti personali da riconsegnare al reietto...
Per questo quadro con il paio di guanti, Schapiro condivide lo stesso tipo di dubbio che Heidegger aveva avanzato per il quadro con il paio di scarpe: 

Nel quadro di van Gogh non potremmo mai stabilire dove si trovino quelle scarpe. Intorno a quel paio di scarpe da contadino non c’è nulla di cui potrebbero far parte, c’è solo uno spazio indeterminato. 

A sua volta anche Schapiro si chiede dove si trovano quei guanti blu: 

cos’è questo sfondo e questo suolo? Difficile dirlo. Il verde azzurro chiaro è un bel colore di cielo che si trova spesso nei paesaggi di Arles eseguiti da van Gogh, e il giallo grigio è proprio dei suoi campi all’aria aperta – un’ambiguità che ci costringe a spostare il nostro punto di vista e contribuisce a creare un’atmosfera nella quale il naturale e l’umano, il lontano e l’intimo vengono sommersi.[5]  

Nella descrizione di Schapiro ci sono altre suggestioni che richiamano gli echi del ragionare di Heidegger anche al di là delle scarpe di van Gogh: 

Accortamente, il cesto di frutta costituisce, per analogia e contrasto, un ponte tra le cose che separa: in quanto forma, per i vimini intrecciati che assomigliano sia al cipresso che alle rilevate linee sovrapponentisi dei guanti; e in quanto oggetto, per il passaggio dalla natura all’artificio e all’uomo; perché il cesto di vimini è pianta e recipiente, un manufatto, e i frutti, colti e in esso riposti per l’uomo, sono nove, come le dita visibili dei guanti. Questa casuale fusione di natura e manufatto nella natura morta riappare nell’ambiente.[6] 
Comunque sia, l’americano non si era affatto occupato (e preoccupato) delle scarpe di Vincent prima di trovarle in Heidegger.
Ora, disputandole al filosofo, mirava forse a risanare (benché solo a parole) una negligenza iconografica che la morte di Goldstein aveva reso bruciante?
E’ in questo modo che l’americano contava di chiudere la partita dei suoi debiti verso van Gogh, verso Goldstein e, addirittura, verso Heidegger? [7]
Confesso che non so dire se nel discorso di Derrida c’è un simile ragionamento, distintamente svolto o sottinteso…
Ma i guanti blu servono anche a questo: per aiutarci a crocifiggere le pulci grigie che zampettato in tutta questa faccenda...
[1] - Schapiro, Van Gogh (1959), Aldo Garzanti editore, Milano 1966, p. 88.
[2] - Vincent a Theo, Arles 22 gennaio 1889 (n. 741-563)
[3] - Schapiro, Van Gogh, cit..  Questo brano di Schapiro (che commenta la natura morta con guanti) è riportato in questa versione da Derrida in Restituzioni…, cit..
[4] - Nella monografia su van Gogh Schapiro non fa alcun cenno ai diversi quadri che van Gogh ha dedicato al motivo delle scarpe. Le scarpe vengono appena nominate da Schapiro in un rapido elenco di soggetti vangoghiani a pag. 29.
[5] - Schapiro, Van Gogh, cit. p.88.
[6] - Ivi – Il ponte tra le cose in Schapiro, richiama il mezzo di Heidegger; l’in quanto oggetto nell’uno, la (mera) cosa dell’altro; la natura e l’artificio, come la Terra e i frutti riposti per l’uomo di Schapiro richiamano il confidare nel Mondo di Heidegger; infine il cesto di vimini e i guanti, descritti in quei termini da Schapiro, sembrano proprio poter condividere il commento di Heidegger per le scarpe: “questo mezzo appartiene alla terra”… ossia: questi mezzi – cesto e guanti – appartengono alla terra.
[7] - Un debito imbarazzante verso ognuno di loro. Debito riconosciuto e confessato, pur sotto i velami di un bersaglio critico?



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